L’acqua è un bene essenziale, specialmente nel comparto agroalimentare. Una consapevolezza resa evidente dalla siccità che sta colpendo l’Italia, dando vita allo stato di emergenza in diverse regioni e provvedimenti ad hoc per evitarne sprechi e consumi superflui. A tal proposito, l’impronta idrica, ovvero il volume di acqua dolce necessaria per produrre alimenti di origine animale e vegetale, costituisce un parametro particolarmente rilevante da tenere in considerazione. Secondo una ricerca del Water Footprint Network, un chilogrammo di carne bovina richiede circa 15400 litri di acqua per essere prodotta, mentre cereali, frutta e verdura si attestano rispettivamente intorno a 1300, 960 e 320 litri. Questi ultimi possono essere ulteriormente ridotti grazie alla tecnologia agrovoltaica, in cui si associa la produzione di energia elettrica con quella agricola (o zootecnica).
Come racconta Duccio Caccioni su “Agronotizie”, “l’agrovoltaico, se ben realizzato, con caratteristiche tecniche, agronomiche e di impatto ambientale e paesistico adeguate, magari organizzato all’interno di comunità energetiche nell’ambito di precise strategie locali, potrebbe rappresentare una straordinaria opportunità per il mondo agricolo”. Qualora vengano installate tettoie fotovoltaiche mobili e di altra tipologia di 4,5 metri, risulta ad esempio possibile coltivare specie sciafile (amanti dell’ombra), con un incremento dall’80 al 120% della produttività rispetto alle modalità tradizionali di coltura.
Il D.L. n.199/2021 ha stabilito le tipologie di superfici idonee per accogliere impianti da fonti energetiche rinnovabili, rendendo l’agrovoltaico uno strumento alla portata delle aziende del settore per rilanciare la propria attività, diversificando investimenti e produzione. In aggiunta, questa tecnologia permette di ridurre l’evapotraspirazione delle colture e dunque il consumo d’acqua, ma anche di creare un sistema di protezione da eventi atmosferici, diminuire gli attacchi di parassiti e consentire l’installazione di impianti e sensori propri dell’agricoltura 4.0 e “hi-tech”.
In questo senso, Luca Corelli Grappadelli, Professore di Fisiologia degli alberi, ha dato vita insieme ai propri studenti al progetto S30 (Smart Specialized Sustainable Orchard), ovvero un sistema di tecniche per diminuire l’uso dell’acqua ed energia nella gestione di un meleto. L’iniziativa, di cui parla Marco Todarello su “Swissinfo”, viene portata avanti da tre anni all’interno del centro didattico della facoltà di Scienze e tecnologie agroalimentare dell’Università di Bologna, a Cadriano, un borgo poco al di fuori della città. La combinazione di teli speciali e sensori intelligenti che gestiscono il sistema d’irrigazione hanno tagliato il fabbisogno idrico del 50%. Inoltre, per i trattamenti degli alberi, viene adoperato “Dedalo”, un trattore elettrico compatto alimentato ad energia solare (impiegata anche per i sensori e l’impianto irriguo). “Il prossimo passo – racconta Grappadelli - sarà l’installazione dei pannelli solari sul frutteto, la cui struttura lo rende particolarmente adatto allo scopo”.Un passo importante e in linea con l’interesse nei confronti dell’agrovoltaico. Secondo una stima della società Social Power Europe, qualora venissero installati impianti agrovoltaici sull’1% dei terreni agricoli europei, si potrebbero avere 900 GW di potenza, pari a sei volte la capacità totale attualmente presente nell’Unione Europea.